Che cos’è la malattia di Alfie Evans e quali sono le nuove scoperte a riguardo

Alfie Evans, il bimbo di 23 mesi per settimane al centro di una battaglia legale (internazionale) tra i genitori e le autorità britanniche, è morto nella notte di sabato 28 aprile, cinque giorni dopo che gli era stato staccato il respiratore. Il piccolo era affetto da una malattia rara, una patologia neurodegenerativa del gruppo delle epilessie miocloniche progressive.

Ma cosa sappiamo esattamente della malattia del piccolo Alfie? Il bambino, di appena 23 mesi, sarebbe stato colpito da una patologia neurodegenerativa che ha pian piano distrutto il suo cervello. Si tratta di una malattia mitocondriale rarissima, ovvero una malattia ereditaria causata da alterazioni nel funzionamento dei mitocondri, gli organelli che forniscono energia alle cellule.

Una forma grave di encefalopatia epilettogena, o sindrome di Ohtahara, un’encefalopatia epilettica progressiva infantile, che colpisce fin dai primi mesi di vita e che non ha un’unica causa certa. Questa patologia neurologia è estremamente debilitante, e comporta la comparsa di crisi epilettiche (intrattabili e progressivamente sempre più gravi), un grave ritardo mentale e il mioclono, brevi e involontari spasmi muscolari.

Oltre ai danni cerebrali strutturali diffusi, ci sarebbe anche una perdita di sostanza bianca, ovvero i fasci di assoni mielinizzati che trasportano i segnali tra diverse regioni del sistema nervoso centrale, ridotta a meno del 30% di quella presente in un cervello sano. Una condizione che lo ha portato negli ultimi 17 mesi a dipendere da un respiratore artificiale.

Per questa patologia neurodegenerativa del gruppo delle epilessie miocloniche progressive, non esistono ancora terapie che possano migliorare lo stato di salute del paziente.

In Italia, l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è stato coinvolto nella vicenda di Alfie fin dalla scorsa estate. Su richiesta della famiglia, alcuni medici del Bambino Gesù sono andati a Liverpool per visitare il bambino, in collaborazione con i colleghi dell’Alder Hey Hospital. I medici italiani hanno dato quindi la propria valutazione clinica e presentato un piano di cura, che prevedeva il proseguimento dell’iter diagnostico e il mantenimento della ventilazione, alimentazione e idratazione con gli opportuni presidi. Ma la vicenda si è chiusa con il protocollo che prevedeva il distacco del respiratore che tiene in vita il bambino.

Autore dell'articolo: Raffaele