Diritto all’oblio: sparire per sempre da Google si può

La diffusione di Internet e dei social network hanno offerto a chiunque la possibilità di pubblicare e condividere contenuti digitali di qualsiasi tipologia, sia relativi all’utente stesso che a terzi soggetti.

A volte può succedere che tali contenuti vengano ritenuti come pregiudizievoli per la reputazione dei diretti interessati, oltre che lesivi per la privacy stessa. Per esempio, un magazine online potrebbe redigere sul proprio sito web un articolo di cronaca dedicato ad una condanna penale di un determinato soggetto e, una volta pubblicato, tale contenuto diventa facilmente reperibile da chiunque acceda alla rete.

In questa ipotesi specifica, il diretto interessato può richiedere la rimozione dal web rifacendosi al cosiddetto diritto all’oblio, introdotto con il GDPR nel maggio 2018, che permette la rimozione dai motori di ricerca di tutti quei link e riferimenti che rimandano ai contenuti online che possono essere ritenuti pregiudizievoli ed offensivi se di pubblico dominio.

Il diritto all’oblio in pratica

Nella pratica, il diritto all’oblio, regolato con con gli articoli 17, 21 e 22 del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR), è il diritto di qualsiasi soggetto ad essere dimenticato.

Esso si attua mediante la rimozione di tutti i link ed i riferimenti che rimandano a contenuti lesivi presenti sul web. Come accennato nel paragrafo precedente, una notizia o un contenuto multimediale presente in rete risulta essere facilmente raggiungibile da chiunque abbia accesso a Google, ed in generale ad Internet, sempreché gli stessi compaiano a seguito di una o più ricerche effettuate online. Quindi, se le notizie ed i contenuti multimediali sono presenti all’interno dell’indice di Google e sono facilmente reperibili da chiunque, il soggetto leso ne può chiedere la rimozione.

Qualsiasi articolo o notizia può entrare facilmente all’interno dell’indice dei motori di ricerca. Tale meccanismo, denominato indicizzazione, permette a qualsiasi sito web di essere visibile all’interno dei risultati di ricerca, più o meno in alto nella SERP, in risposta a determinate parole chiave che l’utente digita nella barra apposita. Quindi, ogni volta che si digita una domanda su Google, compariranno diverse pagine contenenti dei link a siti web che rimandando a contenuti multimediali facilmente fruibili da tutti.

Viceversa, il meccanismo che consente il diritto all’oblio sul web, si chiama deindicizzazione. Il professionista che si occuperà della pratica di diritto all’oblio potrà quindi rimuovere i link a qualsiasi contenuto pregiudizievole presente sui motori di ricerca, in modo che l’utente non possa più accedere facilmente a tali notizie.

È però necessario sottolineare che la deindicizzazione del contenuto non prevede la rimozione dello stesso dalla rete o dal portale che lo ospita, ma ne limita semplicemente la visibilità all’interno dei risultati offerti dai motori di ricerca.

Quindi, semplicemente, deindicizzare significa che il contenuto resta presente su Internet ma senza più essere accessibile tramite ricerca.

Se la necessità di diritto all’oblio richiede l’eliminazione totale del contenuto da ogni singolo portale sul quale è pubblicato, il procedimento resta comunque fattibile, ma di fatto diviene più oneroso perché sarà necessario rivolgersi ad un referente legale, un IT ed esperti di privacy per valutarne l’effettiva fattibilità.

Ad ogni modo, è possibile valutare la reale “pericolosità” dei contenuti caso per caso e, da questa analisi, il soggetto potrà richiedere la deindicizzazione o l’eliminazione completa degli articoli, foto o video giudicati pregiudizievoli. L’importante, come sempre quando si tratta di digitale, è rivolgersi a professionisti esperti in diritto all’oblio per ottenere risultati concreti ed essere dimenticati per sempre dai motori di ricerca.

 

 

 

Autore dell'articolo: martina